sabato 8 settembre 2012

Masai Mara

Da quando siamo arrivati in Kenya parliamo di un safari al Masai Mara.
E' probabilmente la prima meta turistica del Kenya. O la seconda, dopo Malindi; dipende da cosa vi piace fare.

Uno dei punti a sfavore del Masai Mara é la presenza di anofele, la zanzara che trasmette la malaria. Questo é il motivo per cui ho sempre glissato sulle proposte di safari fin'ora. Glissato sapendo bene che prima o poi ci saremmo andati, come prima o poi andremo sulla costa, ma prendiamo le cose una per una.

Un modo favoloso di vincere le resistenze verso certe cose é vedere che gli amici non hanno le stesse resistenze. Parlo di amici nella nostra stessa condizione: non kenioti e con bambini piccoli. 
Hayet é un’infermiera ed ha tre bambini, di cui uno più piccolo di Filippo. Hanno girato tutto il Kenya, Zanzibar e altri posti a rischio di malaria. Hayet veste i suoi bambini con scafandri al calar del sole e spruzza in giro in repellente che si chiama Mortem. Probabilmente il cugino cattivo del DDT. 

Capirete quindi che quando qualcuno come Hayet mi propone di andare in safari insieme in un posto che so a rischio di malaria e contemporaneamente l'altra amica, Juliana, figlia di dottori, ricercatrice in un centro internazionale sugli insetti africani (la zanzara anofele é fino a prova contraria un insetto), e soprattutto la persona più fissata con il rischio malarico che conosca (prima di me, non dopo!) mi rassicura dicendo che non c'é pericolo, dicevo, capirete che non mi sono fatta prendere più di tento dai dubbi.

Metteteci anche che eravamo appena tornati e la proposta era per il fine settimana successivo. 

E metteteci anche che é periodo di migrazioni, cioè la ragione per la quale i turisti americani in pensione (e non) si precipitano dagli USA al Kenya, prenotando con circa un anno di anticipo, spendendo somme spropositate sia in viaggio che in attrezzature (abbiamo visto obiettivi che un paparazzo se li sogna la notte, addirittura insaccati in tute mimetiche, nemmeno appartenessero a reporter di guerra…). Insomma, metteteci tutto questo e sarete d’accordo con me che l’offerta era irrinunciabile. 

Quindi, dopo una settimana di ricerca del posto perfetto (lodge, self-catering, campo tendato, tana dei leoni), negoziati su come gestire cinque bambini, sul cibo, sull’orario di partenza e via dicendo, alle 13.30 di venerdì ci siamo trovati al punto X e siamo partiti in direzione Masai Mara.

La strada è lunga, sia che si voglia raggiungere il nord del parco che l’est. 
Il Nord ha il vantaggio di essere più vicino al Mara Triangle, l’area dove gli animali attraversano il fiume Mara e dove si possono vedere le migrazioni. 
Già perché migrazione non è inteso solo come spostamento di branchi (scema io che credevo fosse solo questo!), ma solo il passaggio del branco di gnu (anche qui; credevo si parlasse di tutti i branchi, invece la migrazione si riferisce solo agli gnu…ignorante!) da una sponda all’altra del fiume Mara. 

Comunque, noi abbiamo trovato una sistemazione al nord, una casa self-catering, non un lodge all’interno del parco che in questa stagione hanno prezzi fuori controllo, e ci siamo detti perché non godercela e richiedere anche un cuoco? 
Il cuoco in questione, Joshua, era ad aspettarci all’arrivo, insieme al manager John e ad altre persone che potevano essere due o dieci; prima che potessi rendermene conto, stavano scaricando tutti i nostri bagagli, sistemando le cose a giro etc. 
E lì mi sono detta wow, che servizio! Ma la cosa è finita lì perché Joshua, nonostante una divisa bianca impeccabile con colletto che sembrava il cuoco della nazionale nella pubblicità della nutella e una faccia simpatica, si è rivelato un disastro e mi ha profondamente convinto che la prossima volta faccio meglio da sola. Ma forse è solo perché era programmato per una cucina un po’ britannica e il nostro gruppo di britannico non aveva neanche l’ombra. 
Ad ogni modo non siamo morti di fame, come potete immaginare.

Sabato abbiamo fatto un’uscita, alla fine anche abbastanza lunga, e i bambini sono stati bravi a reggere la permanenza in macchina. Del genere provate a farli stare in macchina mezz’ora in Italia su un’autostrada bella dritta dove possono leggere, dormire abbastanza comodi e magari guardarsi un film al computer e faranno un casino inimmaginabile, invece in safari, su strada battuta, in un fuoristrada che li shekera da una parte all’altra mentre dormono, con un paesaggio che a loro non dice nulla, reggono ore
Misteri dell’Africa.. 

Comunque sabato abbiamo visto un’abbondanza di animali da documentario del National Geographic: gnu, zebre, giraffe, elefanti, iene, impala, gazzelle, leoni…insomma tutto il possibile. 
Il Masai Mara è di sicuro il parco più densamente popolato e a parte la storia delle migrazione, è chiaro perché i turisti americani scelgono di investire parte della propria pensione per un viaggio qui: è quasi come andare in uno zoo! 

Ma non abbiamo visto la migrazione.
Cioè, avremmo visto visto la migrazione, se solo Filippo non avesse suonato (accidentalmente) il clacson nel momento in cui un enorme branco di gnu si stava per tuffare nel Mara: si potevano vedere le facce furiose dei turisti americani nei venti fuoristrada sull’altra sponda! 

Domenica invece abbiamo abusato della pazienza di Hayet e le abbiamo lasciato quattro bambini su cinque (ci siamo portati dietro Filippo, non Sveva; non siamo poi così perfidi…) per partire per un early game drive (tradotto: levataccia mostruosa per beccare gli animali a fare colazione). 

Il nostro obiettivo erano i leopardi. 
Ovviamente non ne abbiamo visti, ma ci siamo consolati con due impala che lottavano, con tanto di rimbombo di corna che si scontrano che si diffondeva nell’aria e leonessa con cuccioli a seguito che si muovevano con una dimestichezza sorprendente tra i circa dieci fuoristrada che gli facevano da scia e questo non ha fatto altro che rafforzare la mia immagine di zoo…. 

E finalmente il pomeriggio, proprio quando stavamo per rientrare dal nostro secondo game drive, seguendo una nuvola di polvere siamo riusciti a vederli! 

La migrazione ha in effetti qualcosa di spettacolare: una quantità impressionante di animali si butta a tutta birra nel fiume mugolando, con un suono strano che a tratti sembra una musica e a tratti fa pena e poi arrivano all'altra sponda, una scarpata ripida, dove si ammassano uno all'altro nel tentativo di salire e finire il passaggio del fiume, ma ovviamente scivolano e cadono addosso gli uni agli altri e intanto altri continuano ad arrivare e spingere e schiacciarsi a vicenda.

Poco più in là, in direzione della corrente ci sono i coccodrilli e gli ippopotami ad aspettare la cena.

E poi visto che ci sono passano anche le zebre, ma in modo molto più elegante, con una specie di risata isterica che non suscita lo stesso senso di pena degli gnu. Le zebre non si ammassano, tengono il collo bello diritto e arrivano con la stessa eleganza della traversata dall'altra parte. E magari danno anche un'occhiataccia a quei casinisti indisciplinati fifoni degli gnu che poco più in là si stanno ammazzando per salire una scarpatina...

Non solo abbiamo assistito a questo spettacolo, non solo era il nostro primo safari al Masai Mara (c’è gente che ci torna un bel po’ di volte, ma non ha avuto l’onore…) e ci è capitato alla prima, ma una volta passato il fiume (e noi eravamo sulla seconda sponda, quindi ancora una volta fortunati…) ad attendere gli gnu c’era un branco di leoni.

In effetti la cosa non è scema; con tutta quella calca, ci sono gnu che non risalgono la sponda e diventano cena per coccodrilli, ma ce ne sono anche che si fanno molto male ma riescono a salire lo stesso. Salgono, ma non corrono più così veloce, quindi diventano cena per leoni.
Il problema per i leoni era la quantità di fuoristrada presente; va bene che ormai ci sono abituati e non si scompongono più di tanto, ma provate voi a cacciare uno gnu zoppo nel traffico!


Insomma, stanchi e felici siamo rientrati alla nostra casetta (che per inciso ha una storia perché appartenuta ad una certa Jaqueline Roumeguere-Eberhardt che ha passato circa la metà della vita a studiare i masai e per questo detta la masai bianca) dove ci aspettava il solito Joshua a cui abbiamo limitato le attività alla sola accensione del BBQ (e che invece per dare prova di buona volontà aveva marinato la carne con aglio, pepe e sale…anche quella per i bambini, però!), ci siamo arrostiti l’equivalente di uno gnu (la spesa è stata mal calcolata….) e ci siamo finiti tutti gli alcolici per festeggiare tutto quello che siamo riusciti a vedere in un solo safari.

Il rientro a Nairobi è stato quasi più lungo dell’andata, ma i bambini sono stati buonissimi, meglio dell’andata e questo mi ha convinto che magari possiamo anche tornarci al Masai Mara!

4 commenti:

  1. prima di tornare al Mara andiamo sulla costa!!!

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  2. Accidenti...e pensare che io mi sono accontentata di "Madagascar 3"...voi ci vivete dentro...anche se in effetti questo era ambientato in Europa...penso a quanto sarebbero strafelici i miei nipoti a fare una gita così...

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  3. Mettiamola così: noi non andiamo a sciare a Natale e Sveva continua a chiedermelo!!

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