lunedì 21 maggio 2012

Aga Khan 2: la vendetta


Oggi in teoria era il mio primo giorno di lavoro.

Dico in teoria perché nessuna delle persone con cui sono venuta in contatto per questo contratto mi ha mai confermato la data nonostante fosse scritta su tutti i documenti in versione ufficiosa, ufficiale, semiseria e pesce d’aprile.

Menomale che la teoria e la pratica sono due cose spesso molto diverse perché stamattina non avrei proprio potuto presentarmi al lavoro.

Sabato sera, dopo una giornata di febbre abbastanza sostenuta, abbiamo portato Filippo al nostro ospedale preferito, L’Aga Khan, più per scrupolo vista la visita all’Amboseli di due settimane fa e il - seppur minimo - rischio di malaria.

Ovviamente il pronto soccorso pediatrico era pieno zeppo di bambini e nonostante il medico di turno fosse molto simpatico e si chiamasse pure Philip, non siamo riusciti ad evitare al nostro Philip il trauma da prelievo di sangue.

Dopodiché, visto che per avere i risultati c’era da aspettare un bel po’ (quando ho chiesto all’infermiera se l’attesa fosse davvero di un’ora, lei mi ha fatto un bel sorriso a 32 denti come solo qua sanno fare e lì ho capito che dovevo minimo minimo raddoppiare il tempo), abbiamo deciso di rientrare a casa a mangiare e tornare all’ospedale dopo aver messo a nanna tutti.

Siamo quindi rientrati a casa, ovviamente nel momento esatto del grande scroscio giornaliero, attraversando il nostro lago privato, mangiato, messo a nanna pargoli e tata e ripartiti, riguardando il lago alla volta dell’Aga Khan dove un sorridente dottor Philip ci aspettava per dirci che non c’era traccia di malaria e nemmeno di batteri particolari, solo un brutto virus di stagione (n.b. qui si va verso l’inverno…).

Domenica sera ho pensato bene di avvertire il pediatra, visto che ci aveva consigliato vivamente le analisi del sangue, raccontandogli anche che la febbre non stava scendendo molto e lui, diligentemente, mi ha dato un appuntamento per questa mattina, alle nove, prendere o lasciare e se avessi fatto tardi, buonanotte, lui non avrebbe aspettato.

A completare il quadro va detto che oggi e domani Sveva (all’asilo, ripeto all’asilo) ha due test importantissimi per il suo futuro scolastico e forse anche accademico e probabilmente questa cosa inciderà sul resto della sua vita: deve dimostrare di parlare abbastanza bene tedesco e, udite udite, essere pronta per iniziare le elementari. In Italia è obbligatorio per legge iniziare a sei anni, ma per la scuola tedesca è opzionale, dipende se il bambino è pronto, se mostra di voler imparare e soprattutto se pare stufo o meno di giocare all’asilo. D’altra parte il mondo è pieno di bambini che a sei anni piangono disperati perché vogliono imparare a leggere e a scrivere e non ne possono più di giocare tutto il giorno in giardino!

Insomma, stamattina, dopo una notte passata sul materassino accanto al letto di Filippo che si svegliava ogni ora, con una coperta IKEA troppo piccola e tutte le zanzare della casa addosso all’unico essere umano non protetto da zanzariera, ho imbarcato i due pargoli e la tata sul fioristrada (visto che il lago non permette l’uscita dal cancello alla Mercedes), ho depositato Sveva all’asilo, staccandola a fatica dalla gamba mentre urlava il test noooo, ti prego, il test noooo e mi sono fiondata, letteralmente, verso l’Aga Khan.

Il pediatra è arrivato con un ritardo di circa tre quarti d’ora e nonostante le mie insistenze per avere un antibiotico da somministrare in meno volte possibile e che avesse un gusto appetibile per un bambino di tre anni, non solo me ne ha prescritto uno da prendere per sette giorni, due volte al giorno, non solo questo antibiotico è probabilmente il più caro di tutto il Kenya per cui tra quello e il costo della visita, arriviamo al totale che la nostra guardia ci ha chiesto in prestito per comprare un terreno (ok, non interamente, va detto), ma il tutto prescritto in totale assenza di evidenza batterica nelle analisi del sangue.
Io mi fido dei dottori, forse anche troppo ciecamente, quindi mi sono diretta alla farmacia dell’Aga Khan per comprare l’antibiotico.

Le farmacie interne degli ospedali qui sono favolose. In tutte le farmacie c’è la fila, ma in queste ce ne sono tre: una per dare la ricetta, una per pagare il medicinale e una per ritirare il medicinale. Non sto a raccontare quello che è successo nella farmacia perché ci vorrebbe un secondo post; diciamo solo che dopo un’oretta sono uscita con due bottiglie di antibiotico che ovviamente Filippo ha rifiutato solo dall'odore.

Essendo comunque il primo giorno di lavoro, in teoria, avevo anche l’obbligo di farmi vedere in ufficio, se non altro per cercare di firmare finalmente il contratto, quindi, antibiotico o non antibiotico, mi sono diretta a casa per lasciare Filippo e tata e fare la mia comparsa sul posto di lavoro.

Dopo una serie di telefonate di consultazione con Felix, amiche infermiere, amiche figlie di medici e amiche mamme in generale però sono giunta alla conclusione che quell’antibiotico non s’aveva a dà e grazie ad una delle amiche mi sono ritrovata prenotata per una appuntamento con una pediatra dell’Aga Khan, due piani sopra al primo pediatra. L’appuntamento era per subito, quindi ho rimpacchettato Filippo e la tata e ci siamo rifiondati all’Aga Khan che a quell’ora era tutto un brulicare di macchine per l’orario di visita, ho litigato per trovare un parcheggio abbastanza capiente per il fioristrada e siamo saliti al quarto piano dove ci ha accolto una segretaria sorridente che ci ha detto che avremmo dovuto aspettare un pochino. Sorridente, a 32 denti. L’attesa è stata di circa un’ora.

In tutto ciò, continuavo a sentirmi telefonicamente con un (futuro) collega che vista la totale assenza del capo, della sua assistente e di tutte le altre persone che fino ad ora sono state coinvolte nel mio contratto, si era offerto di darmi una mano e mi aveva dato un appuntamento che è slittato di ora in ora, adducendo le spiegazioni più fantasiose, prima per telefono e poi per sms, quando cominciavo a sentirmi veramente in imbarazzo.

La seconda pediatra si è rivelata molto più in linea con quello che penso io e quello a cui siamo abituati in Italia, per cui sono uscita dal suo studio felice di non dover torturare Filippo con l’antibiotico e, nel caso fosse necessario, almeno poter usare quello che voglio io.

Corriamo al parcheggio per cercare di non far slittare ulteriormente il mio appuntamento di lavoro quando noto che le luci del fioristrada sono accese. Ci vorrà un bel po’ per scaricare la batteria di questo carro armato, penso. Non così tanto, in fondo: fioristrada con batteria a terra, tata che non si reggeva più dalle risate, Filippo che faceva il rumore del motore a singhiozzo e io isterica attaccata al telefono. Passa il parcheggiatore e automaticamente gli chiedo se per caso ha i cavi per la batteria e lui sorride (aghhh) rispondendomi che è un problema comune e che certo che li ha, il problema sarà piuttosto spostare il carro armato dal parcheggio per far arrivare i cavi alla batteria. Sorvolo sullo stato dei cavi.
Insomma, alla fine il fioristrada parte, più o meno all’ora del mio ultimo appuntamento in ordine di sms e io prego perché Filippo si addormenti in macchina in modo da prenderlo di peso e metterlo a letto a casa.

Tutto bene, strada incredibilmente libera, giusto un piccolo buco allo stomaco visto che orami erano le due e mezzo e Filippo che si addormenta. Perfetto, penso. Peccato che Filippo si risveglia, io tento invano di riaddormentarlo nel suo letto ma lui non ne vuole sapere.

Quando è troppo è troppo, non posso presentarmi il primo giorno di lavoro alle tre di pomeriggio!

Quindi saluto Filippo, prendo le mie cose e riparto alla volta dell’ufficio che per fortuna è a dieci minuti da casa.
E lì finalmente firmo il contratto, prendo il pass, sbrigo tutte le formalità e prenoto un biglietto per Addis Abeba dove dovrò volare giovedì (e rientrare venerdì…) per iniziare questa benedetta consulenza. 

Totale tempo in ufficio circa venti minuti. 

E nemmeno nel mio ufficio che ancora non so né dov’è né se c’è.

2 commenti:

  1. Scusa ma quanto dura una mattina i Kenya?

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    1. Sai, qui si guida dalla parte sbagliata, l'acqua nel lavandino gira dalla parte sbagliata...magari anche le lancette dell'orologio hanno qualcosa di sbagliato!

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